L’utilizzo del legno per la produzione di energia elettrica e calore, è cresciuto rapidamente negli ultimi anni, e ha il potenziale per continuare a farlo. I paesi dell’Unione Europea sono i principali consumatori di legname per questi usi, e ciò è dovuto agli obiettivi che gli stati del vecchio continente si sono posti in termini di energie rinnovabili. La domanda è soddisfatta per la maggior parte da risorse forestali interne, integrata da importazioni dagli Stati Uniti e dalla Russia.

Per il futuro si prevede che altri paesi come Stati Uniti, Cina, Giappone e Corea del Sud possano incrementare il proprio utilizzo di biomassa per combustione, ma ciò in realtà non è ancora avvenuto, probabilmente a causa del crollo del prezzo di altre fonti rinnovabili quali il fotovoltaico e l’eolico. Il ruolo delle biomassa, a causa della sua capacità di stoccare carbonio, sembra essere ancora di primo piano, sia per il presente che per il futuro.
Uno studio della Chatam House (The Impacts of the Demand for Woody Biomass for Power and Heat on Climate and Forests), un istituto inglese indipendente, che si occupa di sostenibilità, ha fatto emergere delle criticità molto importanti legate alle emissioni di CO2 legate all’utilizzo delle biomasse.
Sebbene si pensi il contrario, la combustione del legname genera più emissioni di anidride carbonica, metano e diossido di azoto per unità di energia rispetto al carbone. Quando le foreste vengono abbattute, i loro suoli continuano a rilasciare carbonio per più di vent’anni, e nella pratica dell’utilizzo della biomassa, vanno anche calcolate le emissioni causate dai trasporti e dal processamento del legname, che in termini quantitativi non possono essere trascurate. Tutte le motivazioni elencate fanno giustamente pensare che definire le biomasse come fonti rinnovabili a impatto zero, non sia corretto.
Di contro, le foreste che vengono lasciate crescere in modo naturale, continuano a immagazzinare carbonio, e questo vale soprattutto per le foreste che si presentano in uno stato vegetativo maturo. Gli alberi più antichi sono in grado di assorbire più carbonio rispetto agli alberi più giovani, così nonostante la morte di alcuni alberi, la foresta matura continua ad essere un ottimo serbatoio per lo stoccaggio di carbonio.
Generalmente infatti si assume che tutta la CO2 che viene emessa nel momento in cui il legname viene bruciato, sia bilanciata da quella assorbita durante la crescita dell’albero; in questo ragionamento non viene però considerato che un albero per giungere a maturazione impiega anche più di 450 anni, mentre la fase di combustione è molto più breve. Per evitare cambiamenti climatici repentini e dannosi, è necessario abbattere le emissioni immediatamente, e questo meccanismo di certo non favorisce tale abbattimento.
Chi considera la bioenergia come una buona pratica, sostiene che l’industria di questo settore utilizzi solo scarti di segherie, piuttosto che l’intero albero. A essere bruciati sarebbero solo rifiuti che altrimenti rimarrebbero a marcire e che effettivamente, se così fosse, causerebbero emissioni di CO2 inferiori rispetto alle fonti fossili.
In realtà, la quantità di rifiuti non è sufficiente per soddisfare la domanda. I rifiuti spesso contengono sporco e altri detriti perché sia possibile che questi possano essere bruciati in impianti di generazione di energia. Invece, quello che viene sostenuto dal settore industriale, è che non vengono abbattuti alberi con il preciso scopo di essere utilizzati per produrre energia. La normativa internazionale è così debole da questo punto di vista, che le società di questo settore possono facilmente tagliare alberi e dichiararli come rifiuto. Inoltre, non può nemmeno essere dimostrato che le nuove foreste vengono create per far fronte alla richiesta di biomassa per energia.
In sostanza, è necessario un cambiamento radicale nella gestione dell’uso di biomassa per la produzione di energia: per esempio l’introduzione di criteri più restrittivi per garantire che venga utilizzato solo legno di scarto.
Per concludere, il rapporto pubblicato dalla Catham House dichiara che le emissioni riconducibili a questa pratica non sono calcolate e potrebbero essere di dimensioni enormi, e per questa ragione potrebbero minare i grandi sforzi effettuati in altri settori come quello fotovoltaico ed eolico.
Le alternative alla biomassa esistono già e sono proprio le energie rinnovabili: solare ed eolico in primis; l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie o Iea), ha dichiarato che nel 2016, per il terzo anno consecutivo, le emissioni di CO2 dal settore energetico sono rimaste stabili, nonostante un aumento del Pil globale di oltre il 3%. Questo grazie all’aumento delle fonti rinnovabili, del gas e del nucleare (queste ultime due rimango comunque al centro di discussioni sulla loro sostenibilità e sicurezza) rispetto al carbone, e alla maggiore efficienza energetica. Il taglio maggiore del gas serra si è avuto negli Stati Uniti (-3%) e in Cina (-1%), i principali emettitori. Le emissioni globali di anidride carbonica dal settore energetico nel 2016 sono state di 32,1 miliardi di tonnellate, lo stesso valore del 2014 e del 2015. E questo nonostante l’economia globale sia cresciuta del 3,1%.
La biomassa è una fonte energetica da trattare con attenzione (utilizzo esclusivo di scarti, senza abbattimenti mirati), e anche se la situazione energetica è in continua evoluzione, soprattutto per motivi politici, le soluzioni ai cambiamenti climatici vanno ricercate in altre tecnologie, ben più avanzate come il solare fotovoltaico e l’eolico, che negli ultimi anni hanno aumentato il loro contributo nell’approvvigionamento energetico globale.
Per approfondimenti:
https://www.chathamhouse.org/expert/comment/wood-not-carbon-neutral-energy-source
https://www.chathamhouse.org/publication/woody-biomass-power-and-heat-impacts-global-climate
https://www.newscientist.com/article/2122115-the-eus-renewable-energy-policy-is-making-global-warming-worse/
http://www.e-gazette.it/sezione/ecologia/gas-serra-aie-mondo-si-produce-piu-energia-emissioni-centrali-sono-ferme

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