LEZIONI DI NATURA Alberi vecchi migliaia di anni, piante coeve dei dinosauri. Osservati dalla scienza degli uomini, insegnano che per salvare il pianeta il tempo c’è. Volendo
Le ricerche in gerontologia per ora promettono solo di farci durare quanto Jeanne Calment che, con 122 anni, detiene tuttora il record di uomo più longevo. Nel mondo animale invece troviamo che la balena franca della Groenlandia vive per più di due secoli, come certi pesci, ricci di mare e cozze d’acqua dolce.
Spugne dei Caraibi superano i due millenni, sottili coralli neozelandesi anche quattro.
Nel regno vegetale troviamo querce bretoni già venerate ai tempi in cui Norma cantava Casta diva.
A metà giugno si terrà a Rio de Janeiro il secondo vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, a vent’anni dal primo e dagli impegni non mantenuti. Da allora siamo più numerosi, sani e ricchi anche se salute e ricchezza restano distribuite in modo iniquo e continuiamo a sfruttare e sprecare le risorse della biosfera.
L’angoscia contemporanea è quella di lasciare ai figli e alle generazione future la dispensa vuota, e il paradosso è che dopo aver indagato 200 mila anni di evoluzioni dell’ambiente non sappiamo affrontare le difficoltà del presente e al come risolvere per il futuro.
La prima lezione che ci può ispirare viene dai batteri, capaci di trarre energia dalle avversità, unici immortali, eternamente giovani che per riprodursi si scindono in due cellule figlie, presenti da 3.8 miliardi di anni sul pianeta e per assurdo nati ieri.
Le piante in confronto ai batteri sono recenti e mortali. Prima dell’ottocento agli alberi veniva presuntà l’età da fatti importanti per la specie umana. Stando alla cronaca il Jaua Sri Maha Bodi è presente dal 288 a.C. nello Sri Lanka ma vive ancora solo grazie al direttore dei giardini botanici che nel 1985 lo reinvasò in un terriccio nutriente. E anche questa è una lezione per noi : non siamo qui solo per distruggere.
Dall’Ottocento i dedrocronologi sanno come determinare l’età di una pianta contando gli anelli del tronco, con un carotaggio si asportano pochi grammi di legno.
Un’altra tecnica è la tomografica per risonanza magnetica nucleare che però’ dato i costi elevati è stata poco utilizzata ed è ancora poco attendibile in quanto gli anelli, veri o digitali che siano, vanno sempre interpretati. Ondate di caldo, di freddo, troppa pioggia o troppa poca, alluvioni, siccità influenzano la crescita degli anelli rendendoli talmente stretti e ingarbugliati da non permettere una giusta lettura.
Poi ci sono delle idiosincrasie: virguluti ventenni di Tsuga mertensiana alti cinque centimetri e senza un solo anello, mentre un Abies amabilis dodicenne ne ha cento ed è alto un metro e mezzo.
L’analisi chimica di un frammento del tronco con la tecnica di datazione del carbonio 14 riduce l’incertezza sulla datazione, o quasi. Nel caso dei pioppi americani, no. Spesso sono cloni, spuntano dalle radici del vicino e figliano. Il Populs tremuloides è considerato generosamente da alcuni studiosi “Il più grande organismo vivente, dell’estensione geografica immensa” definita specie Fenice perché risorge dagli incendi forza di una riproduzione clonale e di potere rigenerativo delle radici.
La clonazione e la rigenerazione sono importanti per occupare il territorio ed evitare che nuovi individui di altre specie lo invadano, ma la riproduzione sessuale con dispersione dei semi è ideale per conquistare territori altrui. Con metodi simili nel giro di centomila anni un’erbetta, la Posidonia, ha trasformato i bassi fondali mediterranei in praterie ricche di biodiversità, fino all’arrivo della Cawlerpa, un’alga ancora più opportunista che prospera nonostante l’inquinamento.
Nonostante l’aria da agave in agonia, una Welwischia mirabilis cresce nel deserto della Namibia da duemila anni. La Ilareta che cresce nel deserto dell’Atacama in Cile viene presa per muschio morbido ma invece è un illusione, parente del Prezzemolo, ha infiorescenze e steli cosi’ fitti e duri che ci si cammina sopra senza lasciare impronte. Questo “zerbino” si allarga di un centimetro quadrato all’anno da due o tre millenni.
Una volta le piante erano tutte così: gimnosperme discrete, prive di colori sgargianti. Un giorno, 150 milioni di anni fa, si sono sviluppate le angiosperme (i semi chiusi nel grembo del proprio frutto) dai fiori maschi o femmine, o di entrambi i sessi. Oggi le gimnosperme sono ridotte a 750 specie mentre le angiosperme a 250 mila.
Le angiosperme hanno rinunciato alla clonazione, al gigantismo e ai trucchi delle proprie antenate, infatti mentre le gimnosperme possono restare bambine per decenni all’ombra di un gigante in attesa che muoia le prime non possono più.
Le gimnosperme sarebbero dei fossili viventi cambiati poco in mezzo miliardo di anni, rare e fragili, lì lì per estinguersi.
In Antartide a causa del riscaldamento globale compaiono macchie verdi da semi congelati per tempi profondissimi; nell’altro circolo polare su una riva della Kolyma, un frutto di Silene di 30mila anni è stato ben conservato dal permafrost a 40 metri di profondità. Da esso sono state clonate 36 piante, ognuna pimpante come nel Pleistocene, quasi identica a quelle che a Giugno spuntano nella tundra siberiana.
Tutti su questa terra sono troppo effimeri per notare le differenze di come è cambiata la terra e la natura con essa, tutti tranne l’uomo la specie con l’estensione geografica immensa e dalla bellezza insuperabile.
Liberamente tratto da Sylvie Coyaud